Articolo pubblicato su ArtNews autrice Valentina Muz i data 20/02/2024
Risalgono al 1885 e il 1889 i primi scavi sotto il pavimento di Piazza San Marco a Venezia, condotti da Federico Berchet e Giacomo Boni. È a loro che si deve l’individuazione di alcune murate, nonché una precisa pianta degli scavi che, oggi, è tornata utile agli archeologi impegnati negli scavi di restauro dei masegni (termine veneziano per identificare i blocchi di pietra squadrati utilizzati nella pavimentazione delle strade) sotto le Procuratie Vecchie, promossi dalla Soprintendenza e diretti dalla direttrice, la dott.ssa Sara Bini.
Gli scavi avevano già fatto emergere una serie di murature e livelli pavimentale, in parte attribuibili all’antica chiesa di San Gemignano (meglio conosciuta come la chiesa dei Dogi), di cui si erano perse le tracce perché demolita nel XII secolo. Tuttavia, una simile chiesa venne poi ricostruita da Jacopo Sansovino nel XVI secolo, per poi essere abbattuta da Napoleone nel 1807 per far posto all’Ala Napoleonica.
Un’ipotesi mossa con cautela, ma che trova fondamento nelle fonti archivistiche che nominano la chiesa proprio in questo punto di Piazza San Marco, nonché nella recente scoperta di una sepoltura con spallette in laterizi all’interno della queale sono emersi i resti di sette individui e il cranio di un bambino risalenti all’Alto Medioevo.
I corpi rinvenuti nello scavo di restauro dei masegni a Venezia probabilmente fanno parte di una tomba comune.
“Era una pratica comune per l’epoca quella delle sepolture collettive” sottolinea la dott.ssa Sara Bini, ripresa dall’agenzia ANSA. “Erano tombe che venivano riaperte: il defunto precendente, ormai scheletro, veniva spostato per far posto al nuovo arrivato”.
Inoltre, il fatto che non si tratti di una semplice fossa “ma una tomba in muratura con una certa monumentalità per l’epoca”, fa presagire che le persone sepolte all’interno facessero parte dell’aristocrazia dell’epoca.
Un tassello importante che alimenta la volontà di scoprire e approfondire le origini medievali di Venezia, puntando l’attenzione sulle ulteriori zone di scavo che non venivano indagate dalla fine dell’Ottocento