Testo di Giorgio Agamben con premessa di Bruno Zanardi Giorgio Agamben , scritto il 02/09/2023
Giorgio Agamben ha indicato tra i suoi maestri Giovanni Urbani, cioè la migliore intelligenza che si è dedicata alla salvaguardia del nostro patrimonio artistico nell’ultimo mezzo secolo. E a Urbani ha dedicato un importante saggio, che proponiamo ai nostri lettori.
- Nel mio articolo da poco uscito su Finestre sull’Arte ho ripreso un assai interessante intervento di Andrea Carandini pubblicato lo scorso 21 agosto sul “Il Corriere della Sera” in cui l’archeologo romano scrive del grande tema civile e culturale della tutela e della valorizzazione del patrimonio artistico. Articolo nella cui ultima parte Carandini scrive anche della complessa questione della conservazione di Pompei. Per parte mia ho citato una opinione espressa da Giovanni Urbani mezzo secolo fa sul “problema Pompei”. Vale a dire che questo sito può essere conservato solo quando lo si consideri per quello che a tutti gli effetti è. Una città. In rovina, ma comunque una città. Il che obbligherebbe (lo aggiungo io, oggi, 2023) a affrancarla dall’indecente economia del turismo di massa di cui è vittima grazie alla “valorizzazione” voluta dall’ex ministro Franceschini e da qui trovare il modo per andare nella direzione indicata da Carandini. Cioè intervenire sugli alzati delle domus e farne “un tutto continuo”. Un tema da giganti dell’architettura, coniugare in termini estetici, critici e tecnologici la conservazione di una città di duemila anni fa con l’oggi, e di farlo senza ricorrere ai soliti materiali “architettesi” quali cemento (armato e non), cretinissimi bandoni di “acciaio corten” finto arrugginito, barattoli di vernice color “verde-natura” e quant’altro di desolante incongruenza a e tristezza progettato da uno dei 153.692 architetti laureati (CNAPPC) che oggi l’Italia ha: all’incirca uno per km2 se si tolgono dai 302.073 km² della sua superficie laghi, fiumi, picchi montani, rive di appennini non più coltivate perciò sempre più soggette a una sorta di riforestazione amazzonica e così via.
Ciò detto, si può aggiungere che l’attuale direttore di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, nelle sue note autobiografiche ha sempre posto tra le sue letture di formazione i libri di Giorgio Agamben. Ma evidentemente egli non sa che il filosofo romano sempre ha indicato tra i suoi maestri Giovanni Urbani (1925-1994), cioè la migliore intelligenza che si è dedicata alla salvaguardia del nostro patrimonio artistico nell’ultimo mezzo secolo, mettendo a punto dalla direzione dell’Istituto centrale del restauro anche un perfetto modello per la sua tutela. La conservazione programmata e preventiva del patrimonio in rapporto all’ambiente. Modello definito in dettaglio che perfettamente calza col problema di Pompei, lo stesso a cui ha anche accennato Carandini sul “Corriere” parlando di “manutenzione programmata”. Così che pubblico per i lettori di “Finestre sull’Arte” un saggio di Agamben su Urbani. Per tre diverse ragioni.
La prima rendere onore a Zuchtriegel per i suoi interessi filosofici e fargli conoscere un pezzo del lavoro di Agamben a lui evidentemente ignoto. Così che possa misurare il proprio ruolo di direttore di Pompei sulla figura di un raro soprintendente che si è preparato a essere tale, appunto Urbani. La seconda, far capire a chi legge “Finestre sull’Arte” quali siano gli studi e la profondità di pensiero che dovrebbe avere ogni soprintendente per poter svolgere il non semplice compito di ricomporre lo speciale ossimoro che è conservare il passato nel presente. L’ultima, chiarire che la conservazione di un patrimonio artistico andato nei millenni infinitamente stratificandosi sul territorio quale è quello dell’Italia e degli italiani è impresa di enorme difficoltà tecnico-scientifica, organizzativa e, appunto, di pensiero. Un chiarimento che purtroppo nessuna Università, Scuola del Patrimonio, eccetera è stata in grado di fare. Infatti, se quelle scuole esistessero, e funzionassero, avrebbero da tempo insegnato ai loro discenti che la scoperta di un cadavere bruciato a Pompei, cioè in una città andata sepolta dalla lava del Vesuvio, non è un raro avvenimento culturale o antropologico, visto che di quei morti già ce ne sono in vista migliaia (“Pompeii Sites”), tutti resi in calchi di gesso con lo stesso sistema messo a punto da Giuseppe Fiorelli nel 1863, esattamente centosessanta anni fa. E anche l’esistenza di quella scuola da tempo avrebbe evitato le dichiarazioni emozionate del ministro di turno di fronte all’ennesimo povero morto carbonizzato. Il suo dire ai giornalisti e alle televisioni “Pompei è un sito che non cessa di riservarci sorprese”. E forse, lo aggiungo di passaggio, quelle scuole avrebbero anche evitato il recente passaggio (fuga?) del capo di gabinetto del Mibac nella Lega Calcio, cioè in un organismo dove un goal è un goal, un brocco è un brocco, un grande calciatore è un grande calciatore e un cadavere bruciato, quando se ne trovasse uno in un’area di rigore, è un cadavere bruciato.Bruno Zanardi