di Federica Este
La distruzione del patrimonio culturale è una tematica di grande attualità che, nel momento in cui si verifica, colpisce inevitabilmente le coscienze dell’intera umanità. Il presente contributo ha come obiettivo quello di analizzare innanzitutto le motivazioni che stanno alla base della distruzione del patrimonio per cercare poi di comprendere quali siano gli strumenti internazionali volti a disciplinare la sua protezione. L’elenco degli atti distruttivi perpetrati negli ultimi anni dimostra quanto la tematica sia viva e quanto sia compito delle istituzioni non dimenticare ma soprattutto agire in maniera tempestiva affinché questi atti possano essere limitati e contenuti.
Il concetto di patrimonio culturale, così come la cultura stessa, è difficile da collocare in una definizione cristallizzata e statica: nel susseguirsi delle epoche e degli eventi, infatti, gli uomini hanno prodotto diversi tentativi di definizione. Se da un lato però, le parole trovano difficoltà nel riuscire a descrivere la molteplicità in cui si articola il patrimonio culturale, dall’altro, la percezione che si ha della sua necessaria presenza e importanza viene considerata come un dato di fatto. Il patrimonio culturale esprime i valori e la memoria storica, è strumento di conoscenza, dialogo, partecipazione e inclusione perché rappresenta l’identità di un popolo. Avere un’identità significa essere in grado di autorappresentarsi (e autodeterminarsi) e, soprattutto, di riconoscersi come qualcosa che è diverso da qualcos’altro o qualcun altro. Il concetto di autodeterminazione dei popoli è quindi strettamente collegato con l’identità e non vi è identità se non c’è una cultura comune. Molteplicità e diversità possono sicuramente diventare occasioni di confronto ma, come la storia insegna, sono state più d’impatto quelle di scontro e conflitto.
In queste circostanze, nemmeno la rilevanza storica, sociale, artistica o identitaria è riuscita a risparmiare il patrimonio culturale che, da elemento da salvaguardare, proteggere e conservare è invece diventato obiettivo di distruzione. L’atto della distruzione, però, è tutt’altro che univoco e può essere suddiviso e descritto attraverso tre diverse macro-modalità. La prima è quella della distruzione che avviene durante interventi pubblici o realizzazioni ex novo: si tratta di occasioni in cui le azioni passano spesso inosservate e si compiono quasi sempre all’interno di un contesto circoscritto locale o nazionale. La seconda è quella che considera la distruzione come effetto del principio di necessità militare: è un terreno molto complesso e articolato da analizzare ma, per portare un esempio, basti considerare la distruzione dell’abbazia di Montecassino avvenuta nel 1944 a seguito del bombardamento da parte di aerei angloamericani perché il generale neozelandese Freyberg era convinto della presenza di soldati tedeschi all’interno del monastero. La terza forma è oggetto di dibattito per l’intera comunità internazionale: si tratta infatti della precisa intenzionalità di arrecare danno al patrimonio culturale con l’obiettivo di minare alla radice il fulcro identitario di un popolo per indebolirlo o in altri casi, per eliminarlo.[1]
A questo proposito, è importante sottolineare come l’elemento da distruggere non sia solo il patrimonio culturale tangibile ma anche tutta quelle serie di pratiche, culti e manifestazioni che consentono alle comunità di poter esprimere e rappresentare la propria identità, ovvero il patrimonio culturale intangibile[2].
Da un punto di vista giuridico, è tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento che ha avuto inizio un primo processo di codificazione della normativa internazionale volta a tutelare il patrimonio culturale in caso di conflitto armato. In particolare, nel 1899 e nel 1907 all’Aja si tennero le due Conferenze internazionali per la pace: nella prima, l’obiettivo era quello di considerare la guerra come conflitto tra stati che però doveva rimanere relegato esclusivamente all’elemento bellico degli avversari senza coinvolgere civili e beni non direttamente interessati, [3] mentre la seconda evidenziava l’importanza di mettere in campo una serie di misure preventive per tutelare “gli edifici consacrati al culto, alle arti, alle scienze, alla beneficenza, i monumenti storici, gli ospedali ed i luoghi ove si trovano riuniti gli ammalati e i feriti, a condizione che essi non siano adoperati per scopi militari”.[4]
L’avvento della Prima Guerra mondiale, tuttavia, ha mostrato l’inadeguatezza di questi strumenti normativi poiché non sono riusciti a fornire sufficiente tutela né per i civili né tantomeno per gli edifici precedentemente elencati.
Un punto importante di svolta è rappresentato dal Patto Roerich del 1935 che, estendendo la tutela non solo al tempo di guerra ma anche al tempo di pace, è la prima convenzione interamente dedicata alla Protezione delle Istituzioni artistiche e scientifiche e dei monumenti storici. Purtroppo, i paesi hanno dimostrato ben poco impegno nell’applicazione dei principi esposti, anche perché il Patto è rimasto (e lo è ancora oggi) circoscritto al solo continente americano.[5] Questo processo di definizione di una normativa completa e strutturata culminò, dopo gli eventi catastrofici della Seconda Guerra mondiale, nel 1954 con la stesura da parte dell’UNESCO della Convenzione dell’Aja per la tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato che, oltre a rappresentare il primo testo in cui viene utilizzato il termine “bene culturale”, ha come specifico ed esplicito obiettivo quello di tutelare il patrimonio culturale. Contemporaneamente è stata anche dotata di un primo protocollo relativo alla mobilitazione, rimozione e restituzione dei beni in caso di conflitto (a seguito anche degli ingenti furti perpetrati dall’esercito tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale) e da un secondo protocollo.
Quest’ultimo, che si caratterizza per essere un’ulteriore integrazione della Convenzione, venne adottato nel 1999 a seguito dei tragici eventi bellici che sconvolsero Iran, Iraq e la ex Jugoslavia, segno che, evidentemente, la Convenzione necessitava di ammodernamenti e revisioni, quali, ad esempio, l’introduzione della Protezione rafforzata rispetto ai precedenti livelli di protezione ordinaria e speciale.[6] Un’altra tappa giuridica importante per quanto concerne la tematica della distruzione del patrimonio, sebbene molto contestata per la forma e per il contenuto, è la Dichiarazione UNESCO sulla Distruzione Intenzionale del Patrimonio Culturale del 2003.[7] Redatta a seguito della distruzione dei Buddha di Bamiyan avvenuta nel marzo 2001 da parte delle forze talebane, nel preambolo si legge come “il patrimonio culturale è una componente importante dell’identità culturale delle comunità, gruppi ed individui, e della coesione sociale, dal momento che la sua distruzione intenzionale può avere delle conseguenze che possono essere pregiudizievoli sulla dignità umana e sui diritti dell’uomo”.
Il patrimonio culturale risulta dunque uno degli obiettivi principali durante il conflitto armato ma c’è un aspetto da evidenziare. Se, nei conflitti precedenti agli anni ’80-’90 la distruzione veniva percepita come un “effetto collaterale” della guerra, spesso mascherata dietro il principio della necessità militare, ora, soprattutto quando la distruzione viene perpetrata in maniera intenzionale e volontaria, è considerato come crimine volto alla cancellazione di qualunque traccia del nemico. [8] Infatti, in tutto il mondo, sono presenti conflitti di tipo misto (ovvero che non vedono la contrapposizione tra due grandi Stati o potenze) di diversi gruppi spesso interni alla nazione e accomunati dalle medesime pratiche cultuali: in queste circostanze, quindi, il patrimonio si carica di elementi identificativi del gruppo avversario ed è per questo motivo che diventa uno degli obiettivi di distruzione principali.[9] L’esempio più emblematico è rappresentato proprio dalla guerra nell’ex Jugoslavia, con la distruzione della biblioteca di Sarajevo nell’agosto del ’92 e del ponte di Mostar nel ’93 ma non sono, purtroppo, gli unici casi: ai già citati Buddha di Bamiyan, si possono aggiungere la razzia del 2003 del Museo di Baghdad, la furia iconoclasta da parte del gruppo islamico Ansar Dine a Timbuktu nel 2012, l’attacco al Mosul Museum e a Palmira da parte dell’ISIS e l’incessante guerra civile che affligge lo Yemen dal 2015.
La distruzione del patrimonio culturale, dunque è una tematica di grande attualità e interesse che, quando avviene, colpisce nel profondo le coscienze di tutti: è per questi motivi che le istituzioni, le comunità e le associazioni non governative, invece di dimenticarsi (anche dopo pochi mesi) dell’evento distruttivo, devono mettere in campo tutta una serie di azioni di salvaguardia e protezione affinché le perdite a cui abbiamo assistito in passato possano essere, almeno, limitate.
[1] LENZERINI F., La distruzione intenzionale del patrimonio culturale come strumento di umiliazione dell’identità dei popoli, in L. ZAGATO (a cura di), Le identità culturali nei recenti strumenti UNESCO. Un approccio nuovo alla costruzione della pace, Venezia, 2008, (pp. 4-5).
[2] Oggi tutelato dalla Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003.
[3] FRIGO M., La circolazione internazionale dei beni culturali. Diritto internazionale, diritto comunitario e diritto
interno, Giuffrè, 2007, p.84.
[4] Articolo 27 della Convenzione dell’Aja,1907.
[5] ORO D., La tutela internazionale dei beni culturali: dall’esperienza delle guerre totali alla prospettiva dei caschi blu della cultura.Tesi di laurea magistrale in Scienze Internazionali, Università degli studi di Torino 29/11/2018
[6] Per ulteriori approfondimenti, si veda DE MASI A., L’importanza del Secondo Protocollo dell’Aja, La Tutela del Patrimonio Culturale, 27 marzo 2021. https://latpc.altervista.org/limportanza-del-secondo-protocollo-della-convenzione-dellaja/
[7] UNESCO, Declaration concerning the Intentional Destruction of Cultural Heritage, 2003, http://portal.unesco.org/en/ev.php-URL_ID=17718&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html
[8] MAIDA R., La tutela del patrimonio culturale in tempo di pace e nei conflitti armati, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, 2018, pp. 78-79 https://iris.unirc.it/retrieve/handle/20.500.12318/64146/57218/Maida_Roberta.pdf
[9] LEANZA U., Conflitti simmetrici e conflitti asimmetrici e protezione dei beni culturali, in Benvenuti P., Sapienza R. (a cura di), La tutela internazionale dei beni culturali nei conflitti armati, 2007, p.39