Tratto da Artribune Autore Gabriele Passeri 12/04/2024 (c) artribune
In un mondo in cui il mercato nero rappresenta una minaccia costante, il lavoro del TPC (nucleo dei Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale) assume grande rilevanza. Attraverso operazioni di sorveglianza, indagini mirate e collaborazioni internazionali, questi specialisti si adoperano per porre un freno a questa deplorevole pratica, assicurando l’integrità dei tesori del passato alle generazioni future.
In un’intervista esclusiva, abbiamo incontrato il Tenente Colonnello Guido Barbieri per svelare i dettagli del suo lavoro.
in Italia esiste un mercato pienamente affermato di beni archeologici. Che cosa ne pensa il TPC del mercato lecito?
Tutto ciò che è commercio lecito per noi ha comunque importanza e valenza, anche perché il nostro reparto, di concerto con università e soprintendenza, opera costantemente in collaborazione e sinergia con figure professionali qualificate e autorizzate alla vendita di beni archeologici. Ritengo che il commercio legale, cioè quello trasparente, quello che si può tranquillamente manifestare alla luce del sole, sia comunque un’occasione di accrescimento. Inoltre, la legge consente il possesso di beni culturali di vario genere, anche quelli di natura archeologica, i quali però devono sottostare a un regime giuridico particolare, dato appunto dalla famosa legge del 1909 e ribadito in varie occasioni.
Quale lavoro svolge il TPC per garantire la legittimità dei beni commerciati?
Il Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), operante dal 1969, esegue un costante controllo a livello capillare del commercio riguardante i beni culturali. Inoltre, effettua accertamenti volti a individuare beni culturali illecitamente sottratti alla fruizione privata o pubblica, al fine di ricondurli alla disponibilità dei legittimi proprietari.
Il TPC monitora le attività commerciali in sede fissa, le fiere di settore e le case d’asta al fine di identificare manufatti di dubbia provenienza per sottoporli a controlli più approfonditi. Nel nostro nucleo, disponiamo di uno strumento fondamentale in continua evoluzione: la banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti.
Ci spieghi meglio…
Questa banca dati, creata fin dall’inizio delle nostre attività nel 1969, inizialmente adottava una forma di archiviazione basata su schedatura manuale. Venivano raccolte denunce relative ai beni culturali sottratti, comprensive di descrizioni e fotografie, conservate all’interno di fascicoli per futura consultazione. Nel corso del tempo, questa banca dati si è evoluta e negli ultimi anni è diventata una vera e propria intelligenza artificiale, contenente milioni di dati. Grazie a un sistema di comparazione di immagini e descrizioni specifiche, è possibile monitorare l’attività relativa a qualsiasi bene.
Questo strumento è ad uso esclusivo del Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale, ma i cittadini che necessitano di informazioni riguardo a un bene, magari in fase di acquisto, possono rivolgersi ai nostri uffici e richiedere una consultazione, specificando il motivo della richiesta.
Quale destino per i beni non idonei a circolare nel mercato?
Bisogna fare una distinzione tra beni culturali originali e oggetti contraffatti. Nel primo caso, è previsto un iter giudiziario per restituire il bene al suo legittimo proprietario, mentre nel secondo caso è prevista la distruzione dell’oggetto contraffatto.
Il nostro obiettivo primario è il recupero di questi oggetti, sia per il loro valore intrinseco, sia per il loro significativo valore storico, artistico e identitario. La nostra attività mira a individuare i responsabili di un reato quando viene denunciato, a recuperare il bene sottratto e a portare i responsabili davanti alla giustizia.
Come procedete?
Quando individuiamo un bene illecitamente sottratto, procediamo con il sequestro e lo mettiamo a disposizione dell’autorità giudiziaria per ulteriori decisioni. Successivamente, viene avviato un procedimento e le valutazioni vengono lasciate alla magistratura. Ogni reparto dispone generalmente di un caveau dove vengono conservati i manufatti sotto custodia giudiziale, in attesa degli esiti del procedimento per restituire il bene al legittimo proprietario.
Per quanto riguarda gli oggetti contraffatti, è prevista la confisca e la distruzione al fine di tutelare l’originalità dei beni e prevenire futuri tentativi di frode.
Inoltre, da alcuni anni è stata stipulata una convenzione tra il Comando dei Carabinieri e l’Università Roma Tre che ha istituito uno speciale laboratorio per l’identificazione dei falsi.
Come mai le leggi in merito ai beni di natura archeologica sono così stringenti rispetto a beni culturali di altra natura?
L’Italia è come un museo a cielo aperto, grazie alle sue bellezze artistiche, storiche e paesaggistiche. Il nostro suolo ha ospitato civiltà importanti e non è raro trovare oggetti appartenenti a queste culture.
Il bacino del Mediterraneo, con l’Italia in particolare, è ricco di reperti. Per contrastare il dilagare della depauperazione del nostro patrimonio, la Convenzione dell’UNESCO del 1970 raccomandava agli Stati membri di istituire specifici servizi e norme di tutela dei propri beni culturali.
Come?
Particolare attenzione è stata posta dal legislatore proprio sui beni archeologici, considerando che sono più facilmente rinvenibili. L’esperienza mi ha insegnato che basta scavare una cinquantina di centimetri nel terreno per correre il rischio di trovare qualche manufatto di interesse archeologico.
Inoltre, la legge del 1909 ha sancito definitivamente che tutti i beni di interesse culturale rinvenuti nel sottosuolo sono di proprietà pubblica, escludendo così l’appropriazione diretta. Sarà lo Stato a decidere se e come corrispondere un premio o una parte del ritrovamento a chi ha segnalato la sua presenza.
La piaga del mercato nero è secondo lei un fenomeno in decrescita rispetto agli scorsi decenni o ancora rappresenta una minaccia ragguardevole per il patrimonio italiano?
Il mercato nero rappresenta una piaga che si cerca incessantemente di debellare, ma è una sfida davvero complessa. È importante considerare che i beni culturali possiedono un valore economico e culturale considerevole, e di conseguenza l’attenzione su di essi è sempre molto alta.
Da un lato, c’è il lavoro meticoloso degli studiosi e degli accademici che trattano tali manufatti con estrema cautela, comprendendone appieno il valore culturale. Dall’altro, ci sono i tombaroli e i ladri che, pur di accaparrarsi questi oggetti, sono disposti a tutto, consapevoli della forte domanda di beni archeologici sia nel mercato lecito che in quello nero.
È evidente che, data l’ampia richiesta da parte dei collezionisti, il mercato nero continua a persistere. Tuttavia, come nucleo di tutela del patrimonio culturale, siamo in grado di contrastare efficacemente questa minaccia anche grazie alle normative vigenti.
Va sottolineato che la situazione attuale è notevolmente migliorata: è sempre più difficile occultare un bene culturale. La diffusione della conoscenza sui beni culturali e l’adozione delle nuove tecnologie stanno rendendo complicata la commercializzazione di beni illeciti, facilitando il nostro compito nel rilevare il momento in cui un bene viene reinserito sul mercato.
Ritiene che un collezionista che voglia avvicinarsi all’acquisto di beni archeologici possa essere sereno dei propri investimenti o rappresenta comunque un rischio?
È fondamentale affidarsi al commercio ufficiale con operatori del settore qualificati, che possiedano comprovata esperienza e capacità professionale. Bisogna guardarsi bene invece dalle offerte poco chiare e poco trasparenti per poter essere sereni da un punto di vista giuridico.
È evidente che un bene culturale, quanto più è documentato con una storia e una sequenza di trasferimenti nota, tanto più garantisce trasparenza. Al contrario, se un bene ha un passato poco chiaro, è opportuno essere cauti.
I beni culturali di natura archeologica sono particolarmente delicati. È essenziale affidarsi a esperti in grado di garantirne la provenienza. La documentazione che accompagna questi beni deve essere inequivocabile, rintracciabile e ricostruibile. Anche nel caso di oggetti provenienti da un altro stato, la normativa richiede che il bene culturale che attraversi la frontiera debba essere dichiarato. Pertanto, la documentazione deve essere precisa e trasparente; le autodichiarazioni non sono sufficienti.
Gabriele Passeri