Leggi su Finestre sull’arte – La polemica sugli NFT delle opere dei musei statali spiegata bene
Musei e NFT: cosa succede e perché tante polemiche in questi giorni, per un episodio che peraltro risale esattamente a un anno fa, ovvero la vendita dell’NFT del Tondo Doni di Michelangelo riprodotto in formato digitale? Per capire cosa sta succedendo si può partire proprio da quello che è accaduto a maggio 2021, quando veniva venduta, per la somma di 240 mila euro, una riproduzione digitale del capolavoro di Michelangelo. Si trattava di una “serigrafia digitale” (così era stata presentata), ovvero una copia unica dell’opera conservata agli Uffizi, che aveva sia una parte “materiale”, uno schermo con riproduzione digitale ad altissima definizione e una cornice eseguita artigianalmente anch’essa come fedele riproduzione fisica, sia il suo certificato NFT. La riproduzione del Tondo Doni era infatti autenticata da NFT (Non-Fungible Token, una sorta di atto di proprietà che certifica l’unicità e l’autenticità di un bene: si parla di opere d’arte NFT per le opere digitali accompagnate da questo certificato, che le mette al riparo dalle riproduzioni scriteriate), e dell’operazione si era occupata l’azienda Cinello, fondata da John Blem e Franco Losi, detentrice del brevetto dei DAW – Digital Artworks, fedeli riproduzioni di alta qualità di opere d’arte antiche.
Gli Uffizi avevano ottenuto la metà dei proventi della vendita del Tondo Doni digitale al netto delle spese (al museo fiorentino erano arrivati 70mila euro), e in più il museo aveva stretto un accordo con Cinello per compiere operazioni simili (esecuzione delle riproduzioni e vendita in formato NFT) per altre 40 opere d’arte. L’esempio era stato poi seguito da altri musei italiani, che allo stesso modo avevano raggiunto accordi di partenariato con Cinello per ottenere risultati simili. Insomma: vendere ai collezionisti interessati riproduzioni delle opere d’arte, certificate da NFT, per ottenere introiti facili, dal momento che la parte tecnica e la vendita spettano all’azienda, mentre il museo si limita a concedere l’autorizzazione per riprodurre l’opera.
La polemica Uffizi-Iene-Repubblica
La polemica è nata per un servizio delle Iene andato in onda su Italia 1 il 25 maggio e anticipato da un articolo di Repubblica firmato da Giuliano Foschini: il programma televisivo e la testata hanno infatti sollevato il problema della diffusione delle riproduzioni. “Se mai il compratore dovesse decidere di esporla”, si domanda Repubblica, “può farlo senza il permesso degli Uffizi? In sostanza: non rischiamo di perdere il controllo del nostro patrimonio in un tempo in cui si va sempre più verso il metaverso?”. Inoltre, Le Iene e Repubblica contestano il fatto che Cinello abbia stretto accordi senza alcuna procedura pubblica (“Cinello non paga alcun canone, divide gli introiti alla metà (una percentuale molto alta per un’intermediazione). E che, sebbene nel contratto non si parli di esclusiva, nei fatti c’è una clausola che quasi la disegna”). In più, Repubblica ha letto i verbali della commissione nominata dal Ministero della Cultura per esaminare il caso delle opere dei musei statali riprodotte in digitale e vendute tramite NFT: in uno stralcio di questi verbali, si legge che il direttore generale dei musei, Massimo Osanna, ha immediatamente bloccato i contratti stipulati da alcuni musei (nell’articolo vengono menzionati gli Uffizi, la Pilotta di Parma, la Galleria Nazionale delle Marche, il Museo Nazionale di Capodimonte e il MANN di Napoli) “perché prevedevano l’alienazione della riproduzione del bene. La necessità imprescindibile è quella di far mantenere allo Stato la proprietà della riproduzione”.
La replica degli Uffizi non si è fatta attendere: il museo ha esplicitamente parlato di “affermazioni scorrette” contenute nell’articolo di Repubblica. “L’autore dell’articolo travisa completamente la questione”, ha fatto sapere il museo, “perché non ha compreso i concetti tecnologici e giuridici di base che governano la produzione, diffusione e l’eventuale commercializzazione di immagini di beni culturali dello Stato, inclusi quelli certificati con la tecnologia Nft”.
L’accordo, intanto, risale al dicembre del 2016, è scaduto nel dicembre 2021, ed era stato trasmesso come da prassi alla Direzione Generale Musei: il Ministero, dunque, sapeva cosa stava accadendo e all’epoca non era stato sollevato alcun rilievo. “Foschini”, fa sapere l’ufficio stampa degli Uffizi, “cita completamente a sproposito un brano da un verbale di una commissione del Ministero della cultura (che sciattamente chiama Mibac, con il nome brevemente in uso durante il governo Conte I), in cui viene attribuito al direttore generale Massimo Osanna l’affermazione che questo e altri casi fossero ’estremamente svantaggiosi per l’amministrazione, perché prevedevano l’alienazione della riproduzione del bene’”. In realtà non c’è stata, né poteva esserci, alcuna alienazione, “perché la legge non lo prevede”, spiega il museo di Firenze. “E un immaginario accordo che dicesse il contrario semplicemente sarebbe nullo. Ma non è stato cosi. Dagli anni Novanta del secolo scorso, il servizio Permessi delle Gallerie degli Uffizi autorizza decine e decine di utilizzi di immagini di opere in consegna al museo ogni giorno, ovviamente secondo la normativa in vigore e sempre in maniera non esclusiva: da molti anni anche delle immagini digitali, che sono sottoposte alla stessa disciplina di quelle su carta o altri supporti”.
Quanto alla questione su chi detiene i diritti legati alle opere, la normativa di riferimento è composta dalla legge Ronchey del 1994 e dal codice Urbani del 2004. “I diritti”, spiegano gli Uffizi, “non vengono in alcuna maniera alienati, il contraente non ha alcuna facoltà di impiegare le immagini concesse per mostre o altri utilizzi non autorizzati, e il patrimonio rimane fermamente nelle mani della Repubblica Italiana”. Quanto alla presunta esclusiva, gli Uffizi rilevano che “nel contratto è richiamata in modo esplicito la non esclusività della concessione, nell’assoluta conformità con la normativa applicabile. È del tutto fuorviante l’affermazione che la ditta Cinello ’non paga alcun canone’ ma ’divide gli introiti a metà (una percentuale molto alta per un’intermediazione)’. Infatti, il contraente privato non pratica alcuna ’intermediazione’ per conto dello Stato, ma agisce nel nome e per conto proprio, senza alcun interesse o investimento del museo. La percentuale a favore del museo non è affatto bassa ma al contrario, con il 50% dei ricavi netti è congruamente alta, dato che le quote per l’utilizzo delle immagini solitamente si aggirano tra il 10% e il 25%, a seconda del prodotto e del mercato specifico per cui viene autorizzato l’uso”.
Infine, sul fatto che la collaborazione non sia passata per una gara, ha risposto Eike Schmidt direttamente nel servizio delle Iene: non c’è stata gara perché non c’è alcuna esclusiva, Cinello ha chiesto di utilizzare le opere degli Uffizi per eseguire riproduzioni digitali, esattamente come fanno centinaia di altri soggetti ogni anno, e pagano quel che è dovuto al museo per ottenere le autorizzazioni. Insomma, gli Uffizi non hanno dato l’esclusiva a Cinello per riprodurre le loro opere.
Ma come funzionano gli NFT delle opere d’arte dei nostri musei statali?
Intanto occorre capire cosa sono gli NFT. La sigla, come anticipato in apertura, sta per “Non-Fungible Tokens”, ovvero “token non fungibili”: si tratta di un file crittografico unico, trasferibile, che contiene informazioni sull’opera d’arte, sui proprietari, oltre che eventualmente anche sui passaggi di proprietà. Gli NFT vengono registrati in una blockchain, una piattaforma che può essere considerata una sorta di “registro” degli NFT. In breve, “chi acquista un Nft”, ha spiegato sul Sole 24 Ore l’avvocato Dario Deotto, “acquista di fatto una sorta di certificato di autenticità digitale di quel bene o di quell’opera”. Dunque, i diritti sul Tondo Doni passano a chi acquista l’NFT? Assolutamente no: il titolare dell’NFT è in possesso dei diritti su una riproduzione dell’opera di Michelangelo. “Il fatto”, sottolinea Deotto, “è che l’impegno da parte del cedente a trasferire il bene o l’opera riguarda quella copia del bene o dell’opera, ma nulla, ad esempio, impedisce che un’altra copia del bene o dell’opera venga ceduta, con tanto di firma autografa, dall’autore”.
È dunque improprio parlare anche di “NFT delle opere dei musei”: semmai, gli NFT sono certificati di proprietà e di titolarità di diritti sull’opera digitale ricavata dall’originale conservato agli Uffizi. Ecco quindi perché l’operazione Uffizi-Cinello ha visto anche la produzione di un’opera “fisica”, un Tondo Doni digitale incastonato nella fedele riproduzione della cornice: perché l’NFT non è di per sé un’opera d’arte, è un file che non contiene l’opera. E il Tondo Doni prodotto da Cinello è dunque un’opera d’arte unica, ben distinta da quella che tutti ammirano agli Uffizi.
Certo, per i musei pubblici si tratta di un mondo nuovo e tutto da esplorare anche per ciò che riguarda le implicazioni legali di operazioni come quella che ha visto per protagonisti gli Uffizi e Cinello. Per questo, il Ministero della Cultura sta cominciando a studiare il da farsi. “La trasposizione di un’opera d’arte in NFT e in blockchain”, spiegava lo scorso 30 aprile (quindi prima della polemica) la sottosegretaria Lucia Borgonzoni in un’intervista al Sole 24 Ore, “implica meno libertà d’azione, in quanto la cessione dei diritti riguarda l’NFT e non l’opera riprodotta. Se si vende il Tondo Doni in digitale cedo il diritto sull’NFT che riproduce l’opera e non il diritto d’autore sull’opera fisica. La differenza è sottile e al tempo stesso sostanziale. Le opere NFT possono rappresentare uno strumento di reddito aggiuntivo e di valorizzazione del patrimonio culturale”. Nonostante le aperture del 30 aprile, Borgonzoni, in un’altra intervista rilasciata il 19 maggio a La Nazione, ha fatto poi marcia indietro sottolineando che il Ministero ha chiesto a tutti i musei d’Italia di “fermarsi, perché la vendita di questi diritti apre scenari che al momento non sono controllabili. Non importa segli NFT sono una fonte di incasso. Ciò che conta è proteggere da tutti i punti di vista la nostra arte”. Ma qual è il rischio nel concreto? La sottosegretaria rimane sul vago: il fatto che le riproduzioni finiscano sul “metaverso” e il fatto che chiunque da qualche parte possa andare a “ricreare un suo museo con le nostre opere d’arte”. In effetti, non esiste alcun pericolo che i musei perdano la titolarità dei diritti delle opere. I rischi più realistici riguardano semmai la perdita del controllo sulle riproduzioni, e sempre ammettendo che gli NFT aprano scenari diversi da quelli attuali: anche adesso vediamo i grandi capolavori dell’arte italiana, dal David di Michelangelo al Cenacolo di Leonardo da Vinci, riprodotti ovunque, spesso senza autorizzazioni come attestano anche recenti casi giudiziari che hanno opposto musei italiani a chi ha fatto uso delle riproduzioni senza chiedere l’autorizzazione ai titolari dei diritti, ovvero i musei stessi.
Le leggi di riferimento disciplinano i diritti di riproduzione. La principale è il Codice dei Beni Culturali che disciplina le riproduzioni delle opere d’arte agli articoli 107 e 108, e poi il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 25/11/2021, con una sezione sulle riproduzioni digitali. E ancora, esistono due direttive europee, la n. 1024 del 2019 che regola i riutilizzo dei dati nella pubblica amministrazione, e la n. 708 del 2019, sul diritto d’autore e sulla finanza digitale. Proprio per valutare meglio la situazione, il MiC a dicembre ha istituito una “Commissione di esperti che”, conclude Borgonzoni, “ha il compito di studiare gli NFT e redigere le norme che regoleranno il settore”.
Cosa pensano gli esperti
“Ho seguito con grande interesse l’affermarsi di questa nuova forma espressiva e anche il collezionismo che l’accompagna”, afferma la storica dell’arte Cristina Acidini, presidente dell’Accademia delle arti del disegno, già soprintendente del Polo Museale Fiorentino, “e sono molto sollevata dal fatto che il ministero della Cultura abbia deciso di fare un punto della situazione ed eventualmente dare delle linee guida perché è una materia che non può essere affidata all’interpretazione individuale. È una grossa responsabilità quella di diffondere grazie a questi mezzi sofisticatissimi immagini di valore planetario che effettivamente possono transitare anche in un modo che si controlla con grande difficoltà. Quindi senza bloccare qualcosa che è molto promettente e anche molto affascinante penso che sia davvero il momento di regolamentare questa attività”.
L’avvocato Gloria Gatti, sulle pagine de Il Giornale dell’Arte, minimizza: “Gli NFT (Non-Fungible Token) che contengono le immagini digitalizzate in alta risoluzione di 17 opere delle Gallerie degli Uffizi (realizzate con tanto di cornice dalla società Cinello che le chiama DAW) non sono altro che dei balocchi deluxe, come le cartoline, i magneti, i quadernini e le matite che i visitatori portano a casa come souvenir. Così come nessuno si è posto il problema della volgarizzazione della cultura […] per l’immagine della Gioconda piazzata da Jeff Koons e Louis Vuitton su una borsetta, altrettanto, Le Iene non avrebbero dovuto porsi il problema di un ricco signore che ha appeso una cornice rotonda con dentro lo schermo di un televisore in cui è riprodotta l’immagine del Tondo Doni di Michelangelo. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio infatti subordina a un provvedimento concessorio, di natura discrezionale, dell’ente che ha in consegna il bene la riproduzione dei beni culturali in carico al Ministero, alle regioni e agli altri enti pubblici (articoli 107-109 Codice dei beni culturali). La concessione della facoltà di riproduzione (e la determinazione dell’eventuale canone o corrispettivo) è in particolare subordinata alla valutazione delle utilizzazioni previste, che devono costituire oggetto di dichiarazione e di impegno da parte del richiedente nei confronti dell’Amministrazione. Di norma il provvedimento concessorio limita l’ulteriore utilizzabilità delle immagini. La concessione di un’esclusiva è incompatibile con le previsioni del diritto pubblico e sarebbe, peraltro, nulla. Trattandosi di una mera copia digitale di un bene culturale, senza alcun apporto creativo, non può considerarsi un’opera protetta dal diritto d’autore e neppure godere di autonomo e nuovo diritto di riproduzione, tant’è che Cinello ha registrato un brevetto”. Sulla stessa linea di Gatti è anche Massimiliano Zane, esperto di economia della cultura: “In definitiva, parlando dall’affare Gallerie degli Uffizi e NFT parliamo né più né meno che di belle cartoline: cartoline digitali, in 8k, molto molto costose, ma comunque cartoline”.
Sul caso sono intervenuti anche due direttori di musei statali, che sposano la linea della prudenza. Cecilie Hollberg, direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze, paventa il rischio di un mercato nero delle riproduzioni digitali: “Alla base degli Nft c’è sempre una digitalizzazione delle opere, che non faccio io, la fa un esterno, e chi mi garantisce che di queste opere digitalizzate poi non ne faccia un uso improprio? Ci saranno dei contratti, ma dopo un po’ di tempo, o anche subito, ci potrebbe essere un mercato nero. Non ho assolutamente nessuna garanzia. La trovo una soluzione rischiosa per i beni culturali perché se un terzo digitalizza vuole dire che io non ho assolutamente più il controllo su queste opere perché potrebbe fare quello che vuole”. Così invece Luigi Gallo, direttore della Galleria Nazionale delle Marche: “Ben vengano linee guida dal ministero della Cultura e corsi di aggiornamento per i musei sul tema degli Nft dell’arte, i ‘not fungible token’, riproduzioni digitali di opere d’arte registrate nella blockchain e numerate”. La Direzione Generale dei Musei del MiC “ha fatto bene, anzi benissimo, a frenare su questo fronte e a prendere del tempo per la riflessione. Quando sono arrivato a Urbino, nell’autunno 2020 erano stati avviati dei contatti, che non hanno avuto seguito: non sono state fatte quindi riproduzioni di opere delle collezioni della galleria”. Insomma: la questione è nuova e c’è molto da studiare.